Vivà – testo di Antonella Buccaro

Mi chiamo Vittoria Gorizia Nenni, sono nata ad Ancona il 31 ottobre 1915, ma non ho nessun ricordo di questa città, e molti pochi dell’Italia.

Milano me la ricordo, mi ricordo la nostra casa di corso XXII marzo al 29, quella che dei brutti ceffi in camicia nera, hanno invaso e bruciato…

Hanno distrutto anche tutti i miei regali, i miei giocattoli.

Li ho incontrati per le scale, mi hanno strappato i libri di scuola che tenevo sotto il braccio, mi hanno detto faremo fare a tuo padre la fine di Matteotti! Allora non sapevo chi fosse Matteotti e non capivo nemmeno bene perché ce l’avessero col mio babbo…

Qualche tempo dopo, quando con mamma e le mie sorelle affrontammo una rocambolesca, divertente e spaventevole fuga verso la Francia, verso la nostra nuova vita, avevo capito già qualcosa in più.

Quanto bene voglio alla mia mamma! Ah, la mia mamma Carmen, mai stanca, così forte e saggia! Ha educato me e le mie adorate sorelle Vany, Luciana, Giuliana, al rispetto, alla dignità, al coraggio…

Essere la figlie di Pietro Nenni ci ha fatto vivere dei momenti di assoluta angoscia, ma ci ha reso incredibilmente fiere ed orgogliose.

Voglio molto bene al mio babbo.

Si, è Pietro Nenni, il giornalista, l’antifascista, l’attivista socialista conosciuto in tutta Europa…

Per me resta sempre il babbo che mi leggeva la favola prima della nanna, il babbo che chiacchiera con tutte noi a tavola, il babbo che aiuta la mamma nei lavori domestici…

Lo conoscono tutti, lo stimano tutti… Anche i suoi nemici, non credo che siano mai riusciti ad odiarlo davvero… Neanche i più spregevoli e traditori. Tantomeno quello che ci ha messo in condizione di fuggire l’Italia. Si, neppure quello lì, che mi ha resa italiana nata da italiani nobilmente esuli, ed orgogliosa di crescere in Francia, a Parigi…

Parigi… Esiste al mondo una città più bella di Parigi? A Parigi, il mio nome Vittoria è diventato Viva’.

Qui ho scampato un’esistenza troppo lontana dal mio carattere.

In Italia le ragazze avevano la strada segnata, al massimo potevano aspirare  ad essere l’angelo del focolare, ed essere premiate con le medaglie per il numero dei figli… Come le mucche!

Invece in Francia, le ragazze possono aprire un conto in banca, iscriversi all’università, discutere  di politica, andare a sciare, al cinema con le amiche, possono parlare con gli artisti nei caffè…

Come è nuova ed inattesa questa vita!

Mi sento fortunata…

Se devo dirla tutta, ho vissuto quasi interamente la mia vita in una bellissima incoscienza riguardo alle brutture, ai problemi. Mai la tristezza è diventata mia compagna, mai, nemmeno quando ho conosciuto quelle eterne e maledette giornate.

Sono sempre stata allegra, spensierata, ottimista. La politica non mi ha mai veramente interessato. Le mie sorelle ci si appassionano, io ascoltavo tutto, ma poi, no, preferivo vivere, viaggiare.

Mi considero vantandomi, frivola e vanitosa.

Se avessi potuto, sarei stata ancor più vanitosa, avrei comprato cappelli, borsette, cipria e rossetti, avrei frequentato tutti i bar alla page di Parigi. C’è qualcosa di più bello delle vetrine illuminate delle boutique?

A Parigi non eravamo ricchi, anzi, non eravamo mai sereni, la situazione non ce lo permetteva. Mamma era sempre in pena per tutti noi, e il babbo non stava mai fermo, lavorava così tanto…

Ma io sono stata felice e anche le mie sorelle… Quanti bei ricordi!

A volte aiutavo mio padre nelle traduzioni di articoli, o accompagnavo gli esuli italiani con famiglia ad adattarsi in città… Ero molto brava come guida turistica!

 

Però poi, chissà come è andata, i valori di mio padre, mi sono arrivati tutti ed intatti e quando ho dovuto, per quel che ho potuto, spero di averlo reso fiero di me…

 

Sono stata molto fortunata, ho conosciuto l’amore, come si dice, quello con la A maiuscola… Henry… Mi ha fatto battere forte il cuore un ragazzo di un diverso ambiente rispetto a quello della mia famiglia. Era tanto bello, ma altrettanto incapace di capire gli sforzi, le battaglie, i sacrifici di mio padre. Però mi amava… Stava molto bene con me… Era così affascinante, anche se con quel suo bel suo caratterino!

Che coppia meravigliosa, quanto ci siamo divertiti ad andare a zonzo… Avevamo amicizie deliziose, persino gli amici di papà, che spesso ci ospitavano in costa Azzurra, ci adoravano.

Vivevamo i nostri piccoli giorni come se non dovessero mai finire. Anche da sposati…

Pochi soldi, molti incontri, tanta spensieratezza.

Cosa può cambiare in una manciata di mesi?

Tutto.

Avevamo  dimenticato cosa volesse dire essere profughi ed esiliati, fino a quando una mattina di giugno tutto è diventato definitivo…

Henry al fronte, noi già in fuga, il mio babbo ancora in città e le truppe tedesche che entravano trionfanti a Parigi…

Abbiamo cercato tutti di starci vicini, quando ci siamo trovati lontanissimi.

Quando tutto è venuto a mancare alla mia famiglia, la pace, la serenità, la nostra casa, i nostri posti, la nostra Parigi, i nostri amici, l’unica forza, come sempre, la traevamo dal mio babbo e dalla promessa che saremmo stati insieme, uniti, qualunque cosa fosse accaduta.

Tutto era in movimento e cambiava velocemente e bisognava accettarlo, accettare la novità di non avere più nulla, accettare di separarmi da Henry… Ho cercato di tenere duro quando è partito per il fronte, ma il non avere sue notizie per mesi mi faceva impazzire.

Questa era la vita terribile che ci si era aperta da fuggiaschi nel sud della Francia, dove il mio babbo cercava di rimettersi in contatto con la rete partigiana della resistenza, ed io mi chiedevo disperata, dove fosse finito mio marito. Era un continuo intrecciarsi di situazioni, emozioni e paure, colpi di scena.

Questa era la nostra vita e non ho fatto altro che correrle dietro, anche quando siamo finalmente riusciti a tornare a Parigi…

Il babbo, dall’esilio, ci affidava la sua tipografia, convinto dal nostro entusiasmo e da una volontà di fare qualcosa, non si sapeva bene cosa, per Parigi…

Ora io e mio marito avevamo un lavoro e una casa. A Parigi!

Tutto sarebbe stato perfetto, ma il peso degli stivali tedeschi sul cuore era forte.

Bisognava fare qualcosa! Dare una mano a tutti quei ragazzi, alle mie amiche che si stavano organizzando. La resistenza, ecco, bisogna scegliere, la resistenza, era l’unica via possibile per ritornare ad essere noi, liberi, francesi, antinazisti, antifascisti…

Oh, Henry è stato duro da convincere… Abbiamo litigato tante volte, ma poi ha ceduto.

La nostra tipografia era a disposizione della rete. Quanto abbiamo lavorato, giorno e notte!  Eravamo diventate una delle tipografie fulcro della resistenza. Il mio entusiasmo era altissimo… Eravamo tanto bravi quanto incoscienti…

Ci misero un po’, ma poi moltissime spie e spietati poliziotti ci trovarono. Smantellarono con centinaia di arresti la rete degli stampatori.

Henry e tutti noi, finimmo in carcere… Che anno il 1942! Mi piacerebbe raccontarlo tutto, perché ogni singolo eterno giorno è stato così diverso da quelli già vissuti…

I giorni infiniti nelle due prigioni di Parigi, e poi quel viaggio…

L’ultimo viaggio l’ho fatto in treno, stipata in un vagone insieme a migliaia di persone, tante donne, le mie amate amiche, tutte per giorni stritolate, soffocate, inchiodate ad un destino sconosciuto.

Ma ero lì con Charlotte, Helene, May e tante di loro che, già in carcere a Parigi, erano diventate le mie sorelle. Eh sì, dopo la fucilazione di Henry, il mio babbo arrestato chissà dove, tutta la mia famiglia dispersa, la vita non mi ha lasciata da sola…

Ecco, ora posso dirlo che cosa ci ha aiutato a superare ogni cosa, in quel posto così indescrivibile, fuori dalla più crudele immaginazione, dove siamo arrivate camminando nella neve, con le nostre scarpe vecchie e bucate, per chilometri e chilometri… Quel posto mai sentito nominare, così impossibile da raccontare, perché non sono sicura che mi possiate credere… Ciò che ci ha aiutato il più possibile a restare vive, era l’affetto profondissimo che avevamo l’una per l’altra, l’amore che ancora provavamo per chi non c’era più, l’amore che provavamo ogni giorno per chi di noi rimaneva, un amore che ci spingeva a svegliarci in tutte quelle orrende gelide albe…

Senza l’amore non avremmo affrontato niente, né la vita ne’ la morte…

 

Tutta la mia storia è piena d’amore: per la mia famiglia, per le mie sorelle, per Henry, per le mie amiche, per la Francia e Parigi libera… I miei ricordi sono pieni d’amore, non di tutte quelle barbarie, non dell’idea di un destino sbagliato, non d’infinita amarezza, non di pianto…

Cosa capivo di ciò che stava accadendo?

Poco, ma non era la paura che mi dominava, ma la voglia di resistere, di incoraggiare, di aiutare…

Quante amiche ho avuto in quei giorni, quante carezze, baci ho dato e ho ricevuto…

Siamo state forti ed unite, pronte ad affrontare umiliazione e dolori…

Chi si sarebbe mai immaginato a quale carissimo prezzo avremmo pagato la libertà?

Una libertà che tantissime di noi non avremmo mai più avuto. Per alcune di noi è stato troppo tardi…

Eh sì, ci sono state tante vite così nella storia, che hanno sognato e combattuto e cercato la libertà senza giungere per tempo a vederla, a viverla… Eppure forse i loro amici sì, i loro nipoti sì…

Questo è il pensiero più gioioso che io possa avere, e l’altro pensiero è che forse, se avessi potuto scegliere una vita, avrei scelto esattamente quella che ho avuto.

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